Giu 10, 2024

Nostalgici della musica dei bei tempi andati? L’intelligenza artificiale è la soluzione

Canzoni così non ne fanno più.

Quante volte ci è capitato di sentire questa frase, pronunciata da qualche attempato signore al Circolo Arci, quando una qualche radio-nostalgia trasmette pezzi degli anni ’50, ’60 e via fino ormai ai ’90?

Ebbene, oggi gli anziani – o, più in generale, chiunque ami la musica decente – può finalmente tornare ai bei tempi d’oro, in cui i musicisti sapevano cos’è un giro di do e le canzoni non facevano venir voglia di emulare Van Gogh tagliandosi un orecchio.

Suno.com

L’intelligenza artificiale consente oggi a chiunque – al momento in modalità freemium, ossia con alcune funzioni di base gratuite e altre a pagamento – di generare musica a piacimento, partendo da un semplice input testuale. Tra i siti più interessanti c’è sicuramente Suno, a cui ci si può registrare creando un apposito account o, in alternativa, con le proprie credenziali Google o Microsoft.
Per generare una canzone è sufficiente inserire una descrizione nell’apposito campo:

Nel mio caso, è bastato scrivere ‘50s style about summer” per produrre, in pochi secondi, un pezzo intitolato Summertime Starlight. Il lettore giudichi da sé:

Preferite il Punk e rimpiangete i Blink 182 dei primi anni 2000? No problem, ecco Hungry Heartbeat:

Goliardia portami via. L’emblematico caso di Obscurest Vinyl

Suno può generare testi in automatico, ma permette anche di crearne di personalizzati. Opportunità troppo ghiotta per lasciare indifferenti le fitte schiere di buontemponi che affollano il web. Così lo youtuber Obscurest Vinyl si sta ritagliando una discreta fetta di pubblico con le “sue” canzoni, le cui melodie (generate da Suno) riportano agli anni 50-60-70, e i cui testi spaziano da temi quali il defecarsi addosso all’esporre in pubblico i genitali.
Di seguito una delle sue Hit più apprezzate, It’s time to take a sh*t on the company’s dime (E’ l’ora di farsi una cacata a spese dell’azienda), attribuita all’immaginario cantante Rodney Munch. La canzone narra di come un dipendente soglia trascorrere tre quarti d’ora nel bagno aziendale, abitudine che talvolta non è neanche dettata da un reale bisogno di defecare (I don’t even have to shit sometimes), quanto piuttosto dall’intrinseco piacere ch’Egli prova sapendo che quei minuti spesi sul Wc son pur sempre retribuiti dall’azienda (Getting paid to shit/ Getting paid to wipe / The best 45 minutes of my fuckin’ life).

Scenari futuri

Siamo dunque all’alba di nuova era. Un’era in cui chiunque sia dotato di accesso alla Rete e un po’ d’inventiva può generare dei cantanti virtuali, scrivendo loro dei testi e lasciando che l’AI pensi alla composizione della musica.
Se a ciò si aggiungono i progressi del Metaverso e della realtà virtuale, ci si può spingere oltre, e immaginare un futuro in cui centinaia o migliaia di persone, comodamente assise sui divani e col visore in testa, potranno assistere a concerti dal vivo di Rodney Munch o di altri analoghi artisti mai esistiti, in piazze virtuali, su palchi virtuali. E magari vederli duettare con gli avatar di un Frank Sinatra o di Whitney Houston.

Uno scenario che potrà sembrare da Black Mirror a qualcuno; almeno, fin quando quel qualcuno non realizzerà che nel mondo reale l’offerta è rappresentata dal Festival di Sanremo e dall’Eurovision Song Contest.

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