Mag 24, 2024

La scuola di Don Milani era l’opposto di quella statale. Per questo funzionava.

L’anno scorso ricorreva il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani, e in diverse scuole (tra cui quella in cui lavorava il sottoscritto all’epoca) si sono organizzate iniziative per ricordare la figura di questo “prete ribelle”, capace di trasformare quella che era stata concepita come una punizione in una straordinaria esperienza di didattica e riscatto sociale.

Su Don Milani son stati scritti fiumi d’inchiostro, e della scuola di Barbiana si amano ricordare alcuni aspetti che oggi si vorrebbero imitare: l’inclusività “radicale”, l’unire il sapere teorico con quello pratico (i ragazzi studiavano su sedie e tavoli autocostruiti), e soprattutto quel motto, I care, che stava lì a ricordare che tutto ciò che riguarda il mondo dovrebbe interessarci, fermi restando i limiti umani nel poterlo comprendere.

Oggi, come detto, quei principi vengono ribaditi dalle autorità italiane e internazionali in ogni riforma, direttiva, decreto, linee guida. Vengono ribaditi alla maniera statale: sotto forma di acronimi, di perifrasi, decaloghi: così agli aspiranti docenti si richiede di sapere a memoria, per superare i farseschi concorsoni, quali sono le competenze chiave di cittadinanza secondo l’UE, in cosa si differenzino dalle competenze di cittadinanza attiva e altre amenità. Si ribadisce con ieratica solennità che oggi a scuola non ci si può più limitare a trasmettere delle nozioni: bisogna che gli studenti “imparino ad imparare”, perché siamo nell’era del long life learning, signora mia, e bisogna anche “saper fare” oltre che sapere. Come nella scuola di Don Milani, appunto.

“La nostra scuola è privata”

Questo profluvio di solenni princìpi riesce a rendere invisibile l’elefante nella stanza: per vederlo di nuovo, si può semplicemente leggere la lettera che i ragazzi di Barbiana scrissero a quelli di Piadena

La nostra scuola è privata. (…) Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.

Già. Don Milani potè organizzare una scuola privata, seguendo le proprie idee e convinzioni didattiche, in totale libertà. Non aveva programmi ministeriali da seguire, né orari da rispettare. Non doveva partecipare a Collegi dei docenti, consigli di classe, scrutinii, riunioni per i PEI o per i PDP (eppure oggi tutti i suoi alunni verrebbero verosimimlente inquadrati come “BES” – bisogni educativi speciali, segnatamente come ragazzi in situazioni di disagio socio-economico). “Paradossalmente”, il fatto che Barbiana fosse un posto dimenticato dallo Stato giocò a suo favore. Nessun ispettore della ASL andò mai a ispezionare la piscina che costruì insieme ai suoi ragazzi (si veda il sito della Fondazione Don Lorenzo Milani).

La piscina fu scavata a mano dai ragazzi con l’aiuto di qualche genitore.
La volle don Lorenzo per insegnare a nuotare ai ragazzi, ma soprattutto per rompere la paura antica che i montanari hanno della forza dell’acqua. La piscina era alimentata inizialmente da un rigagnolo di acqua che veniva dalla vetta del Monte Giovi scorrendo in un fossetto a cielo aperto che i ragazzi avevano scavato per oltre due chilometri. Per pulire l’acqua che arrivava giù non proprio limpida furono realizzati dei filtri originali. Venne raccolta, presso un marmista di Vicchio, segatura di marmo e messa in contenitori a monte della piscina, l’acqua entrava dentro, si filtrava attraverso la polvere di marmo e si gettava in piscina. Non usciva acqua limpidissima, ma meno fangosa sì.

Una piscina “scavata a mano dai ragazzi con l’aiuto di qualche genitore”, con un sistema di filtraggio fatto con segatura di marmo che rendeva l’acqua appena “un po’ meno fangosa” rispetto alla fonte. Dentro questa piscina sguazzarono felici decine di studenti per svariati anni, senza che nessuno sia mai affogato.

Ho provato a chiedere all’intelligenza artificiale (segnatamente ChatGPT) quale sarebbe oggi l’iter burocratico che un Dirigente scolastico dovrebbe seguire se volesse far costruire una piscina in terreni di proprietà della scuola. La risposta è visibile qui. Quella fornita dall’AI è ovviamente una risposta ideale: alla voce “gara d’appalto”, ad esempio, da per scontato che una o più delle imprese perdenti non presentino ricorso al TAR e blocchino i lavori.

Ora, intendiamoci: perfino un libertario incallito come lo scrivente ammette che qualche norma e procedura, per costruire una piscina, possa essere necessaria (certo non tutti quei passaggi). Il punto, tuttavia, è un altro: Don Milani, nella scuola di oggi, non avrebbe potuto attuare quasi nessuna delle attività che hanno reso così efficace la scuola di Barbiana. Nella sovracitata lettera degli studenti ai loro colleghi di Piadena, si legge:

Abbiamo due stanze che chiamiamo officina.
Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola.

Qui non si parla più di piscine: si tratta di sedie, tavoli, librerie. Fatalmente, neanche questi oggetti potrebbero oggi essere autoprodotti in una scuola, in un ipotetico laboratorio di falegnameria interno. Si violerebbe il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro (che prescrive appositi corsi di formazione sulla sicurezza se si maneggiano strumenti pericolosi, come martelli o seghe), le norme UNI sui materiali usati, per non parlare dello smaltimento dei rifiuti.

Di nuovo: si può anche considerare “ragionevole” tutto questo; eppure, chiunque proverebbe istintivamente stupore e incredulità nlello scoprire che, in un Istituto agrario dotato di varie serre e spazi per coltivazioni, molti semplici lavori di manutenzione vengono affidati a imprese esterne, anziché essere svolti dagli studenti, in quelle che potrebbero essere esercitazioni pratiche dall’alto valore didattico.

Peer education, quella vera

Se dunque i laboratori “alla Don Milani” oggi sarebbero pressoché tutti illegali, ugualmente impraticabili sarebbero i metodi didattici adottati dal sacerdote.

Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi.

Nella neolingua ministeriale odierna questo metodo didattico è chiamato peer education, ma naturalmente in nessuna scuola viene applicato in modo così “radicale”: sarebbe, ancora una volta, illegale. Al massimo può succedere che, in una classe, si “chieda” agli studenti che vanno meglio di aiutare quelli che vanno peggio, ma oltre non ci si spinge.

Documentifici

Tutto questo non accade per caso. La scuola odierna è prima di tutto una fabbrica di attestati, voti e valutazioni, ovviamente anch’esse disciplinate da apposito decreto legislativo. La principale preoccupazione di un insegnante è oggi quella di arrivare alla fine dell’anno scolastico avendo, per ogni alunno, almeno il quantitativo minimo di voti stabilito nell’apposita riunione del dipartimento; questo perché, in caso contrario, la scuola sarebbe esposta al rischio di ricorsi al TAR da parte dei genitori, l’altro grande flagello delle nuove generazioni. Le scuole italiane assomigliano sempre più ad uffici del catasto, e gli insegnanti a impiegati la cui principale funzione è quella di compilare documenti che nessuno leggerà mai (se non, appunto, in sedi giudiziarie), apporre firme, partecipare a riunioni perfettamente inutili.

Paradosso dei paradossi, i soggetti che hanno trasformato la scuola in questa distopia orwelliana sono gli stessi che, in appositi incontri pubblici/manifestazioni, continuano a raccontare in termini quasi favolistici la storia della piccola scuola di Barbiana, dove un prete ribelle e amico degli ultimi aiutò tanti bambini svantaggiati a riscattarsi socialmente.

In fuga dalla scuola di Stato: la crescita dell’educazione parentale

Se a questo quadro aggiungiamo qualche altro dettaglio – tipo il dilagare del bullismo – non c’è da sorprendersi se anche in Italia stia aumentando drasticamente il ricorso all’educazione parentale (ciò che nel mondo anglosassone viene chiamato homeschooling). Se nell’a.s. 2018/2019 il fenomeno riguardava 5126 studenti, tre anni dopo la cifra era salita a 15.361. Molti ritengono che l’esperienza della DAD, durante il lockdown degli anni 2020-21, abbia dato un forte impulso a questa tendenza. Il fenomeno interessa molto di più le scuole elementari e medie: alle superiori di secondo grado il livello di preparazione richiesto è più alto, e difficilmente una coppia di genitori può avere così tante competenze e così trasversali.

Piaccia o meno, ad oggi l’educazione parentale (soprattutto se coordinata tra più famiglie) è l’unica via legale per costruire qualcosa di vagamente simile alla scuola di Barbiana.

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